Colpevoli silenzi

La solidarietà è in pericolo, perché non è più un valore universale. Ne siamo in parte colpevoli anche noi soggetti solidali, avendo accettato di definirla  ‘insieme di buone pratiche’ , modalità di promuovere iniziative di impegno civico. Nel mondo delle ong questo è avvenuto gradualmente dagli anni ‘90 con la scelta della distinzione prima di tutto lessicale tra la progettazione di cooperazione allo sviluppo e di aiuto nell’emergenza, finanziata con i fondi pubblici, e le iniziative private di raccolta fondi delle organizzazioni sociali o delle comunità:queste ultime sono divenute ‘azioni di solidarietà internazionale’, caratterizzate da un impegno spontaneo e volontario.

Non ci siamo resi conto del pericolo di creare un cambiamento di orizzonte culturale rispetto alla storia delle ong italiane, le cui radici sono nella relazione tra comunità di cittadine e cittadini in dimensione globale. Le varie sensibilità da cittadine e cittadini del nostro Paese dagli anni ‘70 hanno affiancato l’impegno delle realtà missionarie cattoliche e quello associativo e  sindacale nel sostegno ai movimenti per la liberazione, l’autodeterminazione dei popoli e la pace, per la tutela delle minoranze e l’affermazione dei diritti.

L’autorevolezza della solidarietà internazionale in Italia non è mai stata messa fino  in discussione fino a tempi recenti ed ha affiancato al ‘fare’ importanti campagne di educazione alla cittadinanza globale. Con la guerra nell’ex-Jugoslavia la mobilitazione collettiva ha raggiunto il grado di coesione sociale a mio parere più alto nella solidarietà verso popoli dilaniati dalle violenze del conflitto civile. Seccamente e con convinzione affermo che dopo quella stagione non si è più stati in grado di promuovere mobilitazioni così significative, nonostante lo scenario mondiale ci presenti un quadro terribile e diffuso di disastri umanitari dal Medio Oriente all’Africa, passando per gli attacchi alla democrazia in America Latina.  E ci porti in casa, nelle nostre coste, la testimonianza oggettiva dell’insostenibilità di uno sviluppo ineguale e di un mondo senza diritti.

Oggi i temi dell’aiuto umanitario, dell’accoglienza e dell’integrazione in Italia sono sotto attacco, non solo dalla destra sovranista e razzista che governa, ma anche dall’opinione pubblica. Alcuni sondaggi recentissimi  proposti da quotidiani nazionali dimostrano il graduale calo di consenso di cittadine e cittadini verso l’operato del no profit. Di fronte ad uno scenario così cupo giocare una partita in difesa è perdente: il Terzo Settore italiano,nella sua complessa e ricca articolazione, deve porsi obiettivi alti, con la consapevolezza di un tempo medio-lungo per raggiungerli. Prima di tutto, torno all’inizio del mio ragionamento, va recuperato il significato originario del termine ‘solidarietà, va affermato il suo valore universale, che non è appannaggio di una cultura religiosa soltanto e non è carità. Ma non è neppure solo ‘insieme di buone pratiche’. La disaffezione alla solidarietà è presente anche in chi pensa di praticarla con l’azione sociale. So che queste mie affermazioni sono forti e possono toccare sensibilità diffuse, ma non me ne cruccio, perché ci vuole un’immediata  presa di coscienza di limiti e criticità. Il terzo settore italiano ha un’attenzione prevalente alla legislazione, alle misure istituzionali che facilitino il suo operato, ai fondi pubblici investiti nell’azione sociale.

Questo è importante, è azione civica ed esercizio di democrazia. Ma non è l’orizzonte unico di azione che la nostra mission associativa ci affida ed è richiesto alle rappresentanze. Bisogna ridare la giusta priorità all’azione politica, alla denuncia di una politica che mette in discussione i principi stessi dell’azione civile, che cancella diritti acquisiti e rende più povero il Paese, materialmente e culturalmente. Non ho sentito voci del mondo sociale unitariamente e con forza condannare i tagli alla sanità, alla cultura, all’istruzione. Lo hanno fatto singole ‘categorie’. Non leggo di iniziative sindacali di mobilitazione di piazza annunciate.

Le ong fanno i conti con i tagli al bilancio della cooperazione internazionale  con l’ incomprensibile ritardo nell’approvazione del documento di programmazione triennale: le loro rappresentanze devono unitariamente denunciare tutto questo e pretendere in parlamento una valutazione sullo stato di salute della cooperazione allo sviluppo a 5 anni dall’approvazione della L.125. Questi sono ‘silenzi colpevoli’. Un patto associativo forte è quello serve per superare l’impasse dell’azione sociale, per andare oltre la sindacalizzazione delle categorie del no profit e recuperare autorevolezza presso l’opinione pubblica. E’ in grado il Terzo Settore italiano di farlo? Ultima chiamata.

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