Capitale sociale e azioni solidali

di Silvia Stilli su HuffingtonPost

“Arrendersi al presente è il modo peggiore per costruire il futuro”. Tom Benetollo lo scriveva 12 anni fa, prima di lasciare orfana troppo presto la sua comunità solidale sparsa per l’Italia e il mondo. Tom credeva nell’Europa aperta, inclusiva. Sarebbe stato felice della vittoria del socialdemocratico Edi Rama, che aveva personalmente conosciuto, alle presidenziali in Albania. Avrebbe pensato, come alcuni di noi, che lì c’è un segno di speranza per ricostruire percorsi di dialogo e coesione sociale e di buon governo. E avrebbe apprezzato e sostenuto la sofferta posizione di medici senza frontiere, che hanno deciso di fare a meno di ogni contributo istituzionale proveniente da questa Europa respingente per le genti in fuga.

Tom avrebbe aggiunto alla denuncia di Msf la condanna della complicità con governi che usano la violenza e la repressione, violano senza ritegno i diritti civili e umani, nel nome dello sbarramento all’Isis, a baluardo della sicurezza del Vecchio continente. Per primi la Turchia e l’Egitto. Non è solo il terrore dell’IS la giustificazione per scellerate alleanze europee con al-Sisi ed Erdogan: è il controllo garantito di aree strategiche per la collocazione geopolitica nel Medio Oriente e di interesse economico nel mediterraneo. Non provi vergogna, Europa e non la provate voi governi dei paesi che ne fanno parte, per il silenzio di fronte a muri e fili spinati e davanti all’evidenza degli eccidi e stermini dei curdi e dei siriani in Turchia e alle violazioni dei diritti civili e umani in Egitto.

Il vice ministro italiano alla Cooperazione internazionale Mario Giro si indigna su Repubblica.it per la comunicazione Timmermans-Mogherini per il consiglio d’Europa di fine giugno, perché non ha recepito le indicazioni della proposta italiana delmigration compact. Ha ragione, ma per me non basta. Indigniamoci per quello che è stato accordato alla Turchia in cambio della “riacquisizione” dei profughi fuggiti verso Grecia e Balcani, facciamo stracciare a Buxelles quel patto scellerato. Per rispetto dei recenti morti civili siriani in fuga dalla violenza, assassinati dalla polizia turca, tra cui 4 bambini.

Apprezzo le riflessioni e le indicazioni del vice ministro Giro che chiedono una svolta all’Europa, ma resta lo scetticismo su come il migration compact nella sua attuale versione possa arrivarci. Va definito e affermato un paradigma culturale di solidarietà attiva del tutto opposto a quello che sta generando l’intolleranza e l’odio xenofobo da una parte e dall’altra la trattativa per i fondi della cooperazione internazionale con governanti africani che lasciano “senza paracadute” i migranti della regione. Non va bene così. Tanto di cappello, lo dico dalla “prima ora”, di fronte alla grande sfida dei corridoi umanitari: grazie alla comunità di Sant’Egidio, da cui il vice ministro Giro proviene, agli evangelici, alla comunità di Papa Giovanni XXIII per aver dimostrato che era possibile e sostenibile attivarli con determinazione, generosità e tenacia e per averli imposti con la forza della ragione al nostro Governo.

Bisogna sostenere quest’azione, mettendoci al servizio di una scelta vincente, oltre che giusta. Ma se l’Italia ha deciso di facilitare e valorizzare i percorsi dei canali umanitari, davvero, non a parole, deve far anche altro, per non vanificarne la grande forza umanitaria. Il ministro Gentiloni chieda la revisione di priorità, modalità e coinvolgimento degli attori sociali nell’implementazione degli accordi della Valletta attraverso lo strumento del trust fund Ue. Occorre un percorso concordato e condiviso con le comunità e le società civili, le ong europee e dei paesi interessati, a salvaguardia della sostenibilità dello strumento trust fund e della trasparenza e coerenza nel perseguire un obiettivo di rinascita per l’Africa. Altrimenti, come in Nigeria, la corruzione e la violenza avranno la meglio nelle negoziazioni degli investimenti europei e quel governo continuerà a decidere quali profughi sono “convenienti” perché rientrano nel patto con l’Europa e quali val la pena buttar fuori dei confini, “in pasto” a Boko Haram.

Abbiamo davanti un’Europa che vuol essere cieca perché non mette i paletti della giustizia sociale alla base della sua diplomazia. Tom e medici senza frontiere, da qui ero partita. Msf ha subito devastanti bombardamenti dei suoi ospedali nelle zone di guerra a Kunduz,in Yemen, ad Aleppo, con tante vittime, tra pazienti e operatori: dov’è l’impegno costante della comunità internazionale nella ricerca dei colpevoli? La verità è di per sé evidente, perché la guerra dei droni e dei bombardamenti a tappeto non guarda in faccia nessuno e le vittime innocenti sono soltanto un prezzo che va pagato, in nome della sconfitta dell’IS. Ce lo avevano già detto quando è emersa la verità sulla morte del volontario Giovanni Lo Porto. Mettere in discussione il concetto di “rifugiato” e cancellare il valore della protezione ha voluto dire mettere in pericolo tutti e negare a priori il diritto alla vita. Non solo per chi fugge oggi, Europa, hai di che provar vergogna.

Lo scrivo con rammarico: sono stupita del silenzio di questi giorni, anche nella giornata mondiale del rifugiato, da parte di Federica Mogherini, Alto rappresentante europeo per gli affari esteri e le politiche di sicurezza. Non ha risposto alle affermazioni del vice ministro del suo paese di provenienza e alle indignazioni e le denunce della società civile, di Msf. Il silenzio non sempre paga, di sicuro spesso crea distanza. Quello stesso Tom, che Federica Mogherini ha conosciuto, ci ha insegnato quanto sia sbagliato arrendersi al presente. Ce lo ha ribadito, pagandolo con la vita, Jo Cox.

Penso che sia giunto inesorabilmente quel tempo in cui decidere da che parte stare e come far contare questa scelta è imperativo etico e morale. Siamo di fronte a un bivio: resistere andando in ordine sparso o mettere insieme le storie ed energie solidali e le esperienze, le relazioni, le speranze, le volontà per non lasciare nulla di intentato verso il cambiamento? Riusciamo da affermarci come capitale sociale? Riusciamo a dimostrare che non perdiamo valore, non procuriamo le crisi globali, non creiamo squilibri sociali e povertà? Siamo l’alternativa alla società degli interessi del capitale finanziario? Sì, possiamo esserlo. Sappiamo aprire le strada dei corridoi umanitari; resistiamo contro onde avverse a curare le ferite della guerra con le nostre forze come Msf; siamo presenti laddove le nostre diplomazie non arrivano, creando legami comunitari che durano nel tempo; resistiamo accanto a chi chiede aiuto nel suo cammino lontano da violenza, fame, guerra, disastri umanitari anche quando veniamo allontanati dai luoghi e dalle strade dell’accoglienza, come per il baobab a Roma, o addirittura veniamo denunciati per l’aiuto umanitario, come per “Ospiti in arrivo” a Udine. Sì, siamo il vero capitale sociale. Senza punto di domanda a fine frase. È così faticoso averne coscienza e agire di conseguenza? È giunto quel tempo: il nostro tempo per contare.

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