Comunità solidali e giovani generazioni per ricostruire la sinistra politica

Il referendum c’è stato. Il risultato è stato assunto da tutti. Non lo commento, leggo e ascolto le valutazioni di chi davvero è assai più titolato e autorevole di me per farlo. E proprio leggendo e ascoltando, da soggetto di sinistra, ho rafforzato un pensiero che maturo da tempo.

La sinistra democratica nel nostro Paese, quella nata dalla tradizione comunista, contaminata e arricchita dai movimenti pacifisti, ambientalisti, per i diritti, come pensiero diffuso ancora esiste, se pure in crisi o divisa. Ma sbaglia chi al suo interno ritiene che oggi abbia bisogno di identificarsi in un leader. Ha bisogno prima di tutto di rifondarsi. Ha l’esigenza di distinguersi nettamente dal populismo, di dire e agire con consapevolezza con un pensiero assai meno contraddittorio.

Il M5s oggi in Italia non è un pensiero di sinistra, né tantomeno democratico. Ci si sono rifugiate nello smarrimento comprensibile anche istanze di sinistra, ma non hanno inciso, non contano nulla. La sinistra italiana deve uscire dal castello e dalle dinamiche minoritarie e personalistiche per trovare nella società civile e nelle comunità, assolutamente oltre salotti e palazzi e palcoscenici chiusi, il pensiero (i pensieri, i bisogni) delle cittadine e dei cittadini.

Per vedere la causa dei mal di pancia (emersi ed espressi in vario modo nelle recenti elezioni e in questa campagna referendaria) e quali sono le sofferenze oggettive e insieme le speranze. Per cercare le strade della globalizzazione dei diritti e della giustizia. Per capire dove la politica di governo ha sbagliato nelle scelte, mal interpretando contesti e complessità.

Per cogliere l’opportunità irrimandabile di far crescere una nuova leadership politica che assuma la storia e le peculiarità di una sinistra progressista per l’Italia. Quella sociale e solidale, etica, costruttiva, capace di scelte chiare e comprensibili, efficaci e attuabili, che metta al centro il confronto e il dialogo. Verso una sintesi, oltre le parole.

Di esperienze cui attingere ce ne sono. Non mi hanno convinto le recenti kermesse della sinistra cosiddetta istituzionale, dell’élite della sinistra italiana, con i cambi di nome e i palcoscenici offerti alle prime donne. Né mi ritrovo nell’avocare a parlamentari della sinistra la mia rappresentanza. Questa non è la pratica della democrazia partecipata.

Ci sono in Italia magnifiche menti e anime dell’economia sociale e no, della scienza sostenibile, della statistica, della cultura che da tempo dialogano, si confrontano, collaborano e producono proposte insieme ad associazioni,coalizioni e comunità di cittadine e cittadini. Ci sono esperienze belle sia di movimento che di alleanza tematica che offrono spazi importanti di partecipazione.

Nelle scuole, nelle università, nei luoghi di aggregazione sociale e culturale va assunto un imperativo per fondare un pensiero di sinistra vincente: il coinvolgimento delle giovani generazioni, confuse, stordite, preoccupate. Non è vero che le giovani energie e menti in formazione sono oggi naturalmente lontane dalla politica: purtroppo le abbiamo portate noi ad allontanarsene. Una gravissima colpa. Ora dobbiamo coinvolgere le/i giovani subito nella costruzione del loro (e del nostro) futuro, con la speranza e l’energia delle nuove idee, per nuove prospettive.

Per la mia storia personale, formazione, per il mio pensiero mi sento pienamente un soggetto solidale di sinistra. Il futuro della sinistra non è populismo né casta: è l’interpretazione del proprio ruolo civico, di cittadinanza attiva per la democrazia. Il consenso e le ragioni della sua azione civile la politica deve trovarle nell’incontro tra classe dirigente e popolo, per la democrazia. Libertà e democrazia stanno dove c’è partecipazione, da sempre. E per attuare la partecipazione è importante il ruolo dei cosiddetti corpi intermedi,così come serve la sintesi intellettuale, la fondazione di un pensiero attuale.

Nessun rapporto diretto tramite twitter e fb tra governo e popolo può creare consenso duraturo. Lo abbiamo chiaro oggi. Occorre attualizzare i pensieri insieme agli strumenti comunicativi, certo, ma facendoli dialogare e confrontare tra loro fuori dalla falsa vicinanza dei social: questi ultimi non sono inutili, anzi, sono sicuramente efficaci soprattutto per dialogare con chi è più giovane, ma non rappresentano davvero la vera partecipazione.

Serve più che mai un’interazione diretta con le persone, attiva e bilaterale. E non bisogna demordere nella faticosa e complessa ricerca della sintesi. Le aggregazioni sociali e civiche, tutte, hanno un ruolo determinante da sempre in questa direzione, ancora di più nell’attuale fase difficile.

Essenziale per come è il nostro Paese, ancora tanto diviso e diseguale al suo interno, con illegalità e povertà e disuguaglianze sociali sempre più diffuse. Ma è anche il Paese delle comunità solidali, che nascono spontanee dentro altre comunità, che sperimentano la tessitura di reti dentro le differenze. Ci sono tante risorse nel terzo settore italiano, nel mondo cooperativo, sindacale, nelle aggregazioni e coalizioni tematiche ed etiche a disposizione per costruire consenso e leadership per la politica da rifondare.

In questi ultimi giorni ho letto con attenzione le ragioni del Sì e del No dei soggetti solidali e sociali che seguo su fb: ho trovato in maggioranza nei loro post toni costruttivi e dialoganti, voglia di dire e fare, che nei contenuti e nelle prospettive non hanno solitamente nulla a che vedere con i populismi, le caste e, soprattutto, i personalismi.

Ma anche il terzo settore italiano, a partire dalle sue rappresentanze, ha bisogno di andare oltre leader individuali e personalismi, per rafforzarsi e aprirsi e svolgere appieno il proprio importante compito. Più che riannodare fili qua e là, la fondazione di una sinistra italiana autorevole oggi ha bisogno di tessere reti solidali, resistenti e al tempo stesso flessibili e dinamiche.

Abbiamo alleati di sinistra in Europa, nessuno veramente forte e con la ricetta pronta, efficace: né in Grecia, né in Spagna, né in Austria o in Inghilterra. Diversi tra loro, alle prese con la costruzione di pensiero e proposte politiche nella complessità.

La sinistra europea può fare la differenza in un contesto globale critico, l’Italia delle buone pratiche e delle menti attive è in grado di dare un contributo, rifondandosi a partire dalle radici originarie, certo, ma attualizzate e con nuovi contenuti e pratiche. Niente sarà più come prima, per nessuno e per alcuna ragione, perché questa è la storia, con cui si è chiamati a fare i conti.

Condividi