Raccolta fondi e immagini shock, quale punto di equilibrio?

di Nino Santomartino su vita.it

L’intervento del responsabile comunicazione e Rsi dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale: «Senza il coordinamento e la regia della soppressa Agenzia del Terzo Settore, occorre il protagonismo e l’assunzione di responsabilità da parte della società civile per promuovere in maniera convinta il gruppo di lavoro di stakeholder, esperti, professionisti, associazioni e reti del Terzo Settore»

Prima dell’estate una grande Ong ha promosso un altro spot della campagna contro la malnutrizione che ha avviato già da alcuni anni con lo stesso stile: immagini strazianti di bambini fortemente deperiti, con il respiro ansimante, stomaco gonfio, costole a vista e sguardi disperati.
Lo spot è stato subito criticato da Pier Maria Mazzola e Marco Trovato (rispettivamente, direttore responsabile e direttore editoriale di Africa, missione e cultura) che, in un loro articolo, commentano aspramente: “adesso tocca a John (il bimbo protagonista dello spot) impietosire i telespettatori per strappar loro nove euro al mese”.
L’articolo è stato ripreso da Eleonora Camilli di Redattore sociale in un pezzo molto puntuale, ottenendo la replica del direttore dei programmi internazionali della Ong promotrice dello spot: “proprio perché inaccettabili, sono immagini anche giuste da trasmettere con l’obiettivo di sensibilizzare e spingere le persone a reagire con indignazione”.

Dal “botta e risposta” si è passati poi al dibattito aperto sull’utilizzo delle immagini nella raccolta fondi: chi è fautore del “fine giustifica i mezzi” e chi, invece, bolla questo modo di fare raccolta fondi come “pornografia del dolore”.
Un dibattito che si è prolungato fino ad agosto (ed è ancora oggi molto vivace) sulle pagine online di Info-Cooperazione, in cui oltre ad auspicare la buona pratica da parte dei cittadini di far sentire la propria voce su attività di raccolta fondi delle Ong, si cita il Codice di Condotta dell’Associazione delle Ong irlandesi auspicando si possa promuovere una cosa simile anche in Italia.

Un dibattito interessante perché il problema non è solo rilevante sul piano della comunicazione ma soprattutto su quello etico e pertanto va affrontato e risolto con urgenza: in nome della credibilità delle organizzazioni non profit e della loro reputazione nei confronti dei partner e dei donors.

Ora, però, occorre andare oltre la polemica, suggerire momenti di confronto e punti di convergenza e avanzare proposte che coinvolgano e corresponsabilizzino non solo gli attori sociali, ma anche il mondo della comunicazione sociale e delle istituzioni.

Magari, tentando anche di superare l’iniziativa delle Ong Irlandesi andando nella direzione che auspica Info-Cooperazione nel citato articolo: “la riflessione però non si deve fermare a questo livello, serve coinvolgere i dirigenti e la governance delle organizzazioni non governative e i loro fornitori, agenzie di comunicazione, creativi, [fundraiser], fotografi, giornalisti e copywriter”.

Alcuni tentativi nel passato sono stati fatti e sono meritevoli di attenzione e di ri-considerazione. Si dovrebbe riprendere il cammino dai passi già compiuti, aggiustando il tiro e adeguando le proposte al contesto di oggi.

Nel 2008 (nell’ambito della World Social Agenda, progetto promosso da Fondazione Fontana Onlus e realizzato con i contributi di vari enti) è stato avviato un percorso che ha portato alla redazione della Carta di Trento per una migliore cooperazione, in cui si parla di “comunicazione corretta” e si afferma che “appare indispensabile anche monitorare, e laddove possibile modificare, il linguaggio e le immagini utilizzate dai media per comunicare”.
Nel 2010 nelle Linee guida per la Raccolta dei fondi, promosse dall’Agenzia per il Terzo Settore grazie al contributo di un nutrito gruppo di esperti coordinati dal consigliere Edo Patriarca, si può leggere: “Nelle comunicazioni e nei materiali promozionali finalizzati alla raccolta di fondi, le organizzazioni devono considerare la sensibilità pubblica ed evitare l’uso di immagini o testi lesivi della dignità della persona, che potrebbero offendere anche solo una parte dei destinatari”.

Ma soprattutto (su suggerimento di alcuni di noi allora in contatto con il gruppo che lavorava alle Linee Guida) si legge anche che “ai fini della trasparenza, negli appelli di raccolta fondi rivolti al pubblico l’organizzazione rispetta l’art. 46 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale emanato dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP)…”.

Tra il 2010 e il 2011 l’Assif (Associazione Italiana Fundraiser), tramite un apposito gruppo di lavoro, propose all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria alcune modifiche al Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Nell’autunno del 2011, inoltre, l’Assif, grazie al lavoro congiunto di alcuni soci di Assif e di TP (Associazione It. Pubblicitari Professionisti), avviò un percorso di conoscenza reciproca con alcune associazioni di categoria del mondo della comunicazione al fine di condividere le proposte da sottoporre all’ Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria e di stringere una serie di alleanze strategiche.

Tra il 2009 e l’autunno del 2011 l’Agenzia del Terzo Settore promosse le Linee guida per il sostegno a distanza di minori e giovani (realizzate in collaborazione con le principali reti del Sostegno a Distanza) e le Linee guida per le buone prassi e la raccolta dei fondi nei casi di emergenza umanitaria (realizzate con un gruppo di persone rappresentativo delle diverse ‘anime’ che lavorano nelle emergenze) in cui, in maniera ancora più netta della precedente pubblicazione sulla raccolta fondi, le organizzazioni vengono invitate a al pieno rispetto del Titolo VI del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, riferito alla realizzazione di campagne promozionali (o agli appelli al pubblico).

Osservando bene tutti questi passaggi è chiaro come vari professionisti che lavorano con il non profit e molte organizzazioni, attive nei percorsi citati dell’Agenzia del Terzo Settore, abbiano riconosciuto la necessità di un Codice di condotta e di un organismo autonomo di autodisciplina e abbiano individuato nel Codice già esistente il quadro di riferimento.

Allora, ripartiamo da qui promuovendo un gruppo di lavoro snello costituito da soggetti competenti e dove siano rappresentati i principali stakeholder, con il compito di definire alcune mirate integrazioni al Codice. Un gruppo in cui ci siano organizzazioni non profit impegnate nel fundraising, realtà della comunicazione e dell’informazione, professionisti, consulenti e ricercatori: tutti impegnati nell’azione, nella comunicazione e nella ricerca sociale.

Per dare autorevolezza la lavoro del gruppo e farlo partire con il piede giusto, garantiamo un percorso di conoscenza e alleanza tra le realtà non profit e le associazioni di categoria socie dello IAP.

Eliminiamo, prima di tutto, il termine “Commerciale” dall’attuale titolo del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, facendolo così diventare il punto di riferimento normativo per la comunicazione sia profit che non profit.
Senza il coordinamento e la regia della soppressa Agenzia del Terzo Settore, occorre il protagonismo e l’assunzione di responsabilità da parte della società civile per promuovere in maniera convinta il gruppo di lavoro di stakeholder, esperti, professionisti, associazioni e reti del Terzo Settore particolarmente interessate alla comunicazione sociale e alla raccolta fondi.

Tempi brevi, un programma rigoroso, obiettivi e agenda definiti: il solo dibattito, la polemica, sono di ostacolo all’accountability delle organizzazioni e creano un danno alla reputazione di tutto il mondo solidale.

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